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Per chi scrive (e presumibilmente per tutti quelli della sua generazione), la disco-music è uno di quei (pochi) punti fermi del passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Un feticcio, insomma, come la vittoria dell'Italia ai Mondiali di Spagna, la nascita delle tv private o i primi videogame. Qualcosa di irresistibilmente luccicante e seducente, una musa voluttuosa e truccatissima, in jeans attillati a zampa di elefante, che ti trascina in pista e non ti lascerà più. Love to love you baby...
Ma in realtà quei lustrini e quei gemiti da eccitazione (pre)puberale sono solo il lato più appariscente di una realtà contraddittoria e dai tanti volti, quasi quanti gli specchietti della leggendaria palla stroboscopica che ne è divenuta l’icona.
Un fenomeno sociale, oltre che musicale, che affondava le radici nella turbolenta New York “off” dei primi anni 70. Quella cloaca affollata di spacciatori, magnaccia e poliziotti corrotti raccontata in film come "Un uomo da marciapiede", "Il braccio violento della legge", "Taxi Driver", "Quel pomeriggio di un giorno da cani" e "Il giustiziere della notte".
Partendo proprio da questi aspetti e scavando in particolare nelle origini underground del movimento, Peter Shapiro (giornalista di testate come Spin, Vibe, The Wire, The Times) ricostruisce ora una "biografia politica della discomusic" che prende il nome da uno dei più trascinanti riempipista dei Bee Gees, "You Should Be Dancing"
“Per molti” – si legge nel prologo – la disco si riassume in tre parole: ‘Halston, Gucci e Fiorucci’. O evoca immagini di algide bellezze scandinave che ballano truccate con maquillages metallici e vestite di abiti scollati fino a lì. O forse il têteàtête tra Andy Wahrol e Bianca Jagger nella sala vip dello Studio 54... La disco è tutta superfici lucide e scintillanti, tacchi alti e rossetti voluttuosi, jeans attillati e pettorali scolpiti, archi sdolcinati che crescono e calano e ritmi travolgenti dal sapore latino, l’eccitazione della cocaina e il tremito del Quaalude. È l’umile peone catapultato nel firmamento celeste grazie ai suoi vestiti e ai suoi passi di danza. La disco era il massimo del glamour, della decadenza e dell’indulgenza. Ma, anche se brillava come un diamante, puzzava di escrementi. Per quanto possa sembrare elegante e sofisticata, la disco è nata, come un verme, dalla carcassa putrescente della Grande Mela”.
Il viaggio inizia appunto nella New York di inizio 70, sulle piste di locali nati all’improvviso in cantine e magazzini dismessi. Sullo sfondo, un'America colpita al cuore dalla morte dei Kennedy e di Martin Luther King, una nazione divisa tra le lotte per i diritti civili e il realignment nixoniano. E’ qui che i primi pionieri del movimento – Dave Mancuso, Francis Grasso, Nicky Siano & C. – propagano i germi di quella “febbre del sabato sera” che divamperà poi in modo clamoroso come moda globale, incidendo radicalmente sulla stessa cultura pop. E’ musica d’evasione, ma anche una delle voci della rivendicazione sociale, nel suo abbraccio con la cultura nera, ad esempio, o con l’universo gay. E’ popmuzik, ma anche un genere che apporterà significative innovazioni alla scienza del ritmo, alle tecniche di composizione e di incisione, e persino alle modalità di diffusione della musica (si pensi ad esempio ai dischi-mix).
Da locali di culto come il Loft, il Saint e lo Studio 54, Shapiro ci conduce attraverso i principali templi internazionali della disco-fever, approdando finanche a Gabicce, avamposto della futura italo-disco. Ripercorrendo tutti i principali successi del periodo - dai primi singoli underground agli hit firmati Moroder-Donna Summer, da Van McCoy ai Boney M - e soffermandosi anche su quei 45 giri che prepararono la mutazione della disco in qualcos’altro, come i seminali (argh!) “Pop Corn” di Hot Butter/Pop Corn Makers e “Magic Fly” degli Space che, forse senza volerlo, erano già proiettati in un’altra epoca, quella del pop sintetico (ma si potrebbe dire lo stesso anche dei primi incroci con l’hip-hop).
Prospettive future, dunque, ma anche radici ancestrali. La "preistoria della disco", così, viene identificata in due movimenti giovanili di quasi 40 anni prima, animati dalla passione per i suoni d’oltreoceano: lo Swing Jugend, nato come forma di ribellione alla Germania nazista, e i parigini Zazous, jazzofili osteggiati dai collaborazionisti nella Francia occupata.
Un ritratto a tutto tondo, insomma, che riesce sempre ad abbinare l’indagine sociale a una narrazione brillante e arguta, densa di curiosità e testimonianze. E senza mai scadere in velleità definitorie o didascaliche. Un vademecum per gli appassionati, ma anche uno strumento utile per comprendere meglio uno dei decenni più turbolenti e memorabili della storia della popular music.
Autore: Peter Shapiro
Titolo: You Should Be Dancing
Biografia politica della discomusic
Editore: Kowalski
Pagine: 431
Prezzo: Euro 22,00
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Per chi scrive (e presumibilmente per tutti quelli della sua generazione), la disco-music è uno di quei (pochi) punti fermi del passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Un feticcio, insomma, come la vittoria dell'Italia ai Mondiali di Spagna, la nascita delle tv private o i primi videogame. Qualcosa di irresistibilmente luccicante e seducente, una musa voluttuosa e truccatissima, in jeans attillati a zampa di elefante, che ti trascina in pista e non ti lascerà più. Love to love you baby...
Ma in realtà quei lustrini e quei gemiti da eccitazione (pre)puberale sono solo il lato più appariscente di una realtà contraddittoria e dai tanti volti, quasi quanti gli specchietti della leggendaria palla stroboscopica che ne è divenuta l’icona.
Un fenomeno sociale, oltre che musicale, che affondava le radici nella turbolenta New York “off” dei primi anni 70. Quella cloaca affollata di spacciatori, magnaccia e poliziotti corrotti raccontata in film come "Un uomo da marciapiede", "Il braccio violento della legge", "Taxi Driver", "Quel pomeriggio di un giorno da cani" e "Il giustiziere della notte".
Partendo proprio da questi aspetti e scavando in particolare nelle origini underground del movimento, Peter Shapiro (giornalista di testate come Spin, Vibe, The Wire, The Times) ricostruisce ora una "biografia politica della discomusic" che prende il nome da uno dei più trascinanti riempipista dei Bee Gees, "You Should Be Dancing"
“Per molti” – si legge nel prologo – la disco si riassume in tre parole: ‘Halston, Gucci e Fiorucci’. O evoca immagini di algide bellezze scandinave che ballano truccate con maquillages metallici e vestite di abiti scollati fino a lì. O forse il têteàtête tra Andy Wahrol e Bianca Jagger nella sala vip dello Studio 54... La disco è tutta superfici lucide e scintillanti, tacchi alti e rossetti voluttuosi, jeans attillati e pettorali scolpiti, archi sdolcinati che crescono e calano e ritmi travolgenti dal sapore latino, l’eccitazione della cocaina e il tremito del Quaalude. È l’umile peone catapultato nel firmamento celeste grazie ai suoi vestiti e ai suoi passi di danza. La disco era il massimo del glamour, della decadenza e dell’indulgenza. Ma, anche se brillava come un diamante, puzzava di escrementi. Per quanto possa sembrare elegante e sofisticata, la disco è nata, come un verme, dalla carcassa putrescente della Grande Mela”.
Il viaggio inizia appunto nella New York di inizio 70, sulle piste di locali nati all’improvviso in cantine e magazzini dismessi. Sullo sfondo, un'America colpita al cuore dalla morte dei Kennedy e di Martin Luther King, una nazione divisa tra le lotte per i diritti civili e il realignment nixoniano. E’ qui che i primi pionieri del movimento – Dave Mancuso, Francis Grasso, Nicky Siano & C. – propagano i germi di quella “febbre del sabato sera” che divamperà poi in modo clamoroso come moda globale, incidendo radicalmente sulla stessa cultura pop. E’ musica d’evasione, ma anche una delle voci della rivendicazione sociale, nel suo abbraccio con la cultura nera, ad esempio, o con l’universo gay. E’ popmuzik, ma anche un genere che apporterà significative innovazioni alla scienza del ritmo, alle tecniche di composizione e di incisione, e persino alle modalità di diffusione della musica (si pensi ad esempio ai dischi-mix).
Da locali di culto come il Loft, il Saint e lo Studio 54, Shapiro ci conduce attraverso i principali templi internazionali della disco-fever, approdando finanche a Gabicce, avamposto della futura italo-disco. Ripercorrendo tutti i principali successi del periodo - dai primi singoli underground agli hit firmati Moroder-Donna Summer, da Van McCoy ai Boney M - e soffermandosi anche su quei 45 giri che prepararono la mutazione della disco in qualcos’altro, come i seminali (argh!) “Pop Corn” di Hot Butter/Pop Corn Makers e “Magic Fly” degli Space che, forse senza volerlo, erano già proiettati in un’altra epoca, quella del pop sintetico (ma si potrebbe dire lo stesso anche dei primi incroci con l’hip-hop).
Prospettive future, dunque, ma anche radici ancestrali. La "preistoria della disco", così, viene identificata in due movimenti giovanili di quasi 40 anni prima, animati dalla passione per i suoni d’oltreoceano: lo Swing Jugend, nato come forma di ribellione alla Germania nazista, e i parigini Zazous, jazzofili osteggiati dai collaborazionisti nella Francia occupata.
Un ritratto a tutto tondo, insomma, che riesce sempre ad abbinare l’indagine sociale a una narrazione brillante e arguta, densa di curiosità e testimonianze. E senza mai scadere in velleità definitorie o didascaliche. Un vademecum per gli appassionati, ma anche uno strumento utile per comprendere meglio uno dei decenni più turbolenti e memorabili della storia della popular music.
Autore: Peter Shapiro
Titolo: You Should Be Dancing
Biografia politica della discomusic
Editore: Kowalski
Pagine: 431
Prezzo: Euro 22,00
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