L'Italia non è nella lista degli Stati che, secondo Reporters sans frontières, sono ostili alla Rete.
Ma un emendamento al decreto sicurezza prevede la possibilità di oscurare del tutto un sito anche per un solo messaggio dai contenuti illeciti.
E ora c'è la «legge Carlucci»...
Pochi giorni fa Reporters sans frontières ha elencato i nomi dei paesi «nemici di internet»: dodici Stati che esercitano il massimo del controllo possibile sulla rete, restringendo gli spazi di libertà di espressione dei loro cittadini.
Si tratta di Arabia Saudita, Birmania, Cina, Cuba, Egitto, Iran, Corea del Nord, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Dittature efferate, regimi autoritari, democrazie solo nominali.
L'Italia non è nell'elenco.
Ma la mancata inclusione, il fatto di essere un paese democratico, non ci mette al riparo dal rischio di elaborare una legislazione repressiva: dove non arriva la violenza criminale delle dittature, spesso possono arrivare la scarsa conoscenza del problema. se non in alcuni casi l'ignoranza o la malafede.
La proverbiale allergia alla modernità della classe politica italiana - sempre che sia lecito parlare di modernità a proposito di una cosa, Internet, che esiste da vent'anni - rischia infatti di bloccare il nostro paese nel medioevo digitale.
Di danni se ne sono già fatti: diverse zone d'Italia non sono ancora raggiunte da Internet ad alta velocità e i fortunati che hanno l'Adsl pagano l'abbonamento molto più di quello che pagherebbero all'estero per l'identico servizio, anche il doppio.
Risultato: l'Italia è l'unico paese dell'Unione europea dove la diffusione della rete arretra anziché aumentare(dati Eurostat).
Se da anni le sentenze si rincorrono e si contraddicono, nel tentativo di accomunare internet ora alle bacheche universitarie, ora agli organi di stampa, la politica sembra essersi da poco accorta di questo enorme vuoto legislativo.
Con risultati che suscitano molto perplessità.
Si è discusso parecchio in rete della proposta del senatore dell'Unione di centro Gianpiero D'Alia: un emendamento al decreto sicurezza -già approvato al Senato - volto a dare al ministro dell'Interno il compito di disporre filtraggi e addirittura oscuramenti per quei siti su cui si leggano «apologie di reato o istigazioni a delinquere».
Facebook e Youtube, per fare due esempi, rischierebbero di essere interamente oscurati se comparisse anche un solo messaggio di incitamento a Totò Riina.
La proposta di D'Alia ha infatti suscitato, nella stampa estera, commenti a metà tra l'allarmato e l'ironico.
E un deputato del Popolo delle libertà, Roberto Cassinelli, ha presentato alla Camera un emendamento volto a eliminare l'assurdo principio dell'oscuramento e istituire un tavolo tecnico per una legislazione organica sulla rete.
Non è finita.
Anche un altro deputato del Pdl, Gabriella Carlucci, è intervenuto di recente sulla materia.
L'ha fatto con un disegno di legge che ha suscitato grandi discussioni nel web, non solo per il suo contenuto. Presentato come una proposta contro la pedofilia (che però non è mai nominata), il testo mira a impedire l'anonimato su internet.
Quando è stato diffuso nel web, però, chi l'ha scaricato ha scoperto che era stato scritto da Davide Rossi, presidente di Uni-video, una delle più grandi e influenti lobby dell' editoria.
Evidentemente la Carlucci non sapeva che ogni file conserva memoria di colui che l'ha redatto e che questo "ricordo" riemerge nel momento in cui il file viene aperto.
La scarsa confidenza con le tecniche e la sensibilità della rete non è un'esclusiva del centrodestra.
Pochi mesi fa Riccardo Levi (Partito Democratico) presentò un disegno di legge per imporre l'iscrizione a un registro pubblico a chiunque avesse voluto aprire un blog.
Seguirono diverse proteste e, alla fine, Levi ritirò la proposta.
Un filo lega queste vicende.
Da una parte è possibile riscontrare una certo grado di interesse d'impresa o politico in chi vorrebbe cancellare Internet pur di non essere costretto a inventarsi un nuovo modello di business - «Internet non serve all'umanità», è una delle frasi celebri di Davide Rossi, l'autore del disegno di legge della Carlucci - o non essere costretto a rendere conto del proprio operato di politico a una platea di cittadini sempre più attenta e numerosa.
Dall'altra parte c'è l'ignoranza di una classe politica che spesso basa le sue scelte su luoghi comuni.
Come quello secondo cui Internet è «una giungla senza regole».
Un'affermazione falsa.
Le diffamazioni, le calunnie, le apologie di reato, lo stalking compiuti in rete sono punibili grazie alle norme già vigenti in queste materie.
O ancora: «Su Internet si può fare di tutto protetti dall'anonimato».
Falso anche questo: al contrario di quel che avviene per le scritte sui muri e gli atti di vandalismo, qualsiasi azione compiuta su Internet porta con sé dati e informazioni sul suo autore.
E' praticamente impossibile - se non utilizzando complicati sistemi di contraffazione - immettere un contenuto in rete senza poter essere identificati dall'autorità giudiziaria.
Altra convinzione errata piuttosto diffusa: «I siti internet sono responsabili per i contenuti pubblicati dagli utenti».
È come dire che i postini sono responsabili del contenuto delle lettere che recapitano.
Una legge su Internet serve, eccome: ma che sia una buona legge, equilibrata e moderna.
Magari anche scrìtta da qualcuno che sappia di cosa parla.
Ma un emendamento al decreto sicurezza prevede la possibilità di oscurare del tutto un sito anche per un solo messaggio dai contenuti illeciti.
E ora c'è la «legge Carlucci»...
Pochi giorni fa Reporters sans frontières ha elencato i nomi dei paesi «nemici di internet»: dodici Stati che esercitano il massimo del controllo possibile sulla rete, restringendo gli spazi di libertà di espressione dei loro cittadini.
Si tratta di Arabia Saudita, Birmania, Cina, Cuba, Egitto, Iran, Corea del Nord, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Dittature efferate, regimi autoritari, democrazie solo nominali.
L'Italia non è nell'elenco.
Ma la mancata inclusione, il fatto di essere un paese democratico, non ci mette al riparo dal rischio di elaborare una legislazione repressiva: dove non arriva la violenza criminale delle dittature, spesso possono arrivare la scarsa conoscenza del problema. se non in alcuni casi l'ignoranza o la malafede.
La proverbiale allergia alla modernità della classe politica italiana - sempre che sia lecito parlare di modernità a proposito di una cosa, Internet, che esiste da vent'anni - rischia infatti di bloccare il nostro paese nel medioevo digitale.
Di danni se ne sono già fatti: diverse zone d'Italia non sono ancora raggiunte da Internet ad alta velocità e i fortunati che hanno l'Adsl pagano l'abbonamento molto più di quello che pagherebbero all'estero per l'identico servizio, anche il doppio.
Risultato: l'Italia è l'unico paese dell'Unione europea dove la diffusione della rete arretra anziché aumentare(dati Eurostat).
Se da anni le sentenze si rincorrono e si contraddicono, nel tentativo di accomunare internet ora alle bacheche universitarie, ora agli organi di stampa, la politica sembra essersi da poco accorta di questo enorme vuoto legislativo.
Con risultati che suscitano molto perplessità.
Si è discusso parecchio in rete della proposta del senatore dell'Unione di centro Gianpiero D'Alia: un emendamento al decreto sicurezza -già approvato al Senato - volto a dare al ministro dell'Interno il compito di disporre filtraggi e addirittura oscuramenti per quei siti su cui si leggano «apologie di reato o istigazioni a delinquere».
Facebook e Youtube, per fare due esempi, rischierebbero di essere interamente oscurati se comparisse anche un solo messaggio di incitamento a Totò Riina.
La proposta di D'Alia ha infatti suscitato, nella stampa estera, commenti a metà tra l'allarmato e l'ironico.
E un deputato del Popolo delle libertà, Roberto Cassinelli, ha presentato alla Camera un emendamento volto a eliminare l'assurdo principio dell'oscuramento e istituire un tavolo tecnico per una legislazione organica sulla rete.
Non è finita.
Anche un altro deputato del Pdl, Gabriella Carlucci, è intervenuto di recente sulla materia.
L'ha fatto con un disegno di legge che ha suscitato grandi discussioni nel web, non solo per il suo contenuto. Presentato come una proposta contro la pedofilia (che però non è mai nominata), il testo mira a impedire l'anonimato su internet.
Quando è stato diffuso nel web, però, chi l'ha scaricato ha scoperto che era stato scritto da Davide Rossi, presidente di Uni-video, una delle più grandi e influenti lobby dell' editoria.
Evidentemente la Carlucci non sapeva che ogni file conserva memoria di colui che l'ha redatto e che questo "ricordo" riemerge nel momento in cui il file viene aperto.
La scarsa confidenza con le tecniche e la sensibilità della rete non è un'esclusiva del centrodestra.
Pochi mesi fa Riccardo Levi (Partito Democratico) presentò un disegno di legge per imporre l'iscrizione a un registro pubblico a chiunque avesse voluto aprire un blog.
Seguirono diverse proteste e, alla fine, Levi ritirò la proposta.
Un filo lega queste vicende.
Da una parte è possibile riscontrare una certo grado di interesse d'impresa o politico in chi vorrebbe cancellare Internet pur di non essere costretto a inventarsi un nuovo modello di business - «Internet non serve all'umanità», è una delle frasi celebri di Davide Rossi, l'autore del disegno di legge della Carlucci - o non essere costretto a rendere conto del proprio operato di politico a una platea di cittadini sempre più attenta e numerosa.
Dall'altra parte c'è l'ignoranza di una classe politica che spesso basa le sue scelte su luoghi comuni.
Come quello secondo cui Internet è «una giungla senza regole».
Un'affermazione falsa.
Le diffamazioni, le calunnie, le apologie di reato, lo stalking compiuti in rete sono punibili grazie alle norme già vigenti in queste materie.
O ancora: «Su Internet si può fare di tutto protetti dall'anonimato».
Falso anche questo: al contrario di quel che avviene per le scritte sui muri e gli atti di vandalismo, qualsiasi azione compiuta su Internet porta con sé dati e informazioni sul suo autore.
E' praticamente impossibile - se non utilizzando complicati sistemi di contraffazione - immettere un contenuto in rete senza poter essere identificati dall'autorità giudiziaria.
Altra convinzione errata piuttosto diffusa: «I siti internet sono responsabili per i contenuti pubblicati dagli utenti».
È come dire che i postini sono responsabili del contenuto delle lettere che recapitano.
Una legge su Internet serve, eccome: ma che sia una buona legge, equilibrata e moderna.
Magari anche scrìtta da qualcuno che sappia di cosa parla.