Quale utente di [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] penso di fare cosa gradita riportando questo articolo del quale Piero mi ha avvisato via email...
Il mio sogno di diventare un dj si realizzò il primo di agosto 1975... il gestore del dancing si vide annullare la programmazione del gruppo musicale, preoccupato cerco disperatamente di sostituire il gruppo, ma alla vigilia del nuovo mese era molto difficile, (solitamente i gruppi musicali erano scritturati per due settimane) il disc jockey del Locale insistette per condurre da solo la serata, convincendolo. Alla fine il gestore rimase allibito dal successo ottenuto, la gente che si divertiva, un continuo non stop di Shake (Fast) intervallati dai lenti (Slow) senza interruzione musicale, il pubblico era entusiasta di questa novità. Il gestore decise di annullare tutte le date confermate ai gruppi, per la mia gioia disc jockey…. e quella del pubblico della discoteca...
La generazione di dj’s, degli inizi anni ’70 era inizialmente composta da una sparuta schiera di appassionati. Per noi era un vero DIY, un fai da te che si amplificava come un Tam Tam tra colleghi. Non esisteva Internet, neppure riviste specializzate. Agli inizi, il dj lavorava come “Resident” nei locali per anni o stagioni intere. Non avendo cosi la possibilità di ascoltare e paragonare il proprio stile o scelta musicale con altri colleghi. L’unico mezzo promozionale era la “cassettina” il mix tape registrato durante la serata. Il punto d’incontro per scambiare quattro chiacchiere, era l’incontro settimanale nei pochi negozi specializzati in dischi importazione. In alcuni, i dischi si acquistavano a “scatola chiusa” non li facevano ascoltare, sceglievi per istinto, per il titolo accattivante, per la copertina, dove si evidenziava la scritta: Discoteque special, Disc Jockey series, (il corrispettivo dei Promo o Only for dj d’oggi).
In altri disco shop i dischi si ascoltavano assieme a diversi colleghi. Le copie dei dischi erano poche e se qualcuno affermava che era “bello, una copia è mia” sicuramente qualcuno rimaneva a bocca asciutta .
La figura del disc jockey (oggi si usa il termine dj) cominciò a delinearsi a cavallo degli anni ’70, chi suonava i dischi nei locali da ballo Dancing, negli intervalli dei “riposini” dei gruppi musicali, altri nei piccoli Night, Wisky a Go Go. Molti locali, affidavano a giovani studenti appassionati di musica, le selezioni musicali, i dischi li acquistava il dj ma su commissione, rimanendo proprietà della discoteca.
Solo nel corso degli anni il dj iniziò ad avere la sua discografia personale. I disc jockey che lavoravano nei vari locali Italiani, i più richiesti, erano principalmente di colore, la nuova moda imponeva e associava che "nero" è uguale a: bravo ballerino, Swowman, gusto musicale innato e con i nomi che "suonano bene", molti di loro arrivavano da gruppi musicali, i quali facevano fatica a trovare ingaggi, soppiantati ormai dalla figura prorompente del disc jockey: Jean Claude, Ronnie Jones, Momy Awes, Glen White, Fred Tay, Hope, Tom e Bob, Freddy Petrus... Inizialmente i Gestori dei locali non davano molta fiducia a noi giovani “disc jockey” musicalmente preparati, ma non ancora pronti a gestire un’intera serata… La mia esperienza personale, iniziò nelle “festine” tra amici, nelle prime “console” in stabilimenti balneari con due giradischi e un crossfader , sfumando un disco e l’atro senza il preascolto per la cuffia (!) Nel primo Dancing, (1973) un vero locale con la cabina regia, e una pista da riempire. il “The Danzante” della domenica iniziava alle 15 del pomeriggio per terminare alle 21. La musica proposta variava dai singoli della Hit parade, ai primi dischi promozionali distribuiti dalle case discografiche. Rock Soul e Rhythm & Blues erano i generi musicali proposti.
L’alternativa ai gruppi musicali erano i disc jockey, i più attenti e capaci cominciarono a coinvolgere il pubblico con animazione, frasi goliardiche, spesso riprese dai colleghi “speaker” della radio nazionale, o dalle radio più in voga in quel periodo come radio Montecarlo e Radio Luxembourg. Il dj, per i gestori dei locali, doveva essere un “personaggio” inteso come una figura, che non doveva solo “mettere” i dischi, ma animare la serata, coinvolgendo il pubblico.
La cabina “regia” era composta da due piatti un mixer, poche centraline di luci e il registratore a bobine Revox (obbligatorio registrare la serata, l’intero programma, nell’eventualità… di un mal di testa). I giradischi installati nelle console di quel periodo erano principalmente i modelli della Thorens, il “Must” per l’Hi-Fi, ma certamente non adatti al mixing.
Poi la preferenza, si spostò ai Lenco L75 questo modello di giradischi soddisfaceva pienamente le esigenze del dj, allora grazie alla trazione a puleggia (transizione intermedia, tra la trazione a cinghia, la più amata dagli audiofili, e la trazione diretta, la preferita da dj) si interveniva manualmente sul disco, per effettuare le tecniche di Cueing, frizionando il disco senza bloccare la rotazione del piatto.
La leva della selezione velocità Pitch Control, permetteva una variazione notevole di giri, 16/33/45/78 usando le posizioni intermedie della selezione giri, si aumentava o diminuiva la velocità della rotazione del piatto.
Permettendo la sincronizzazione della velocità metronomica dei dischi, BPM sperimentando le prime tecniche di BEATMACHING. Con il passare degli anni le preferenze dei “Piatti” passarono ai primi modelli della Techcnics con il variatore di velocità (Pitch control) a rotellina (DL03) o il digitale (SP15). Per un certo periodo anche il piatto della Denon DP 1200 ebbe una larga diffusione. Il piatto della Technics SL1200Mk2 uscito nel 1979, con trazione diretta e motore High Torque, divenne lo standard nelle console di tutto il mondo, oggi è ancora in produzione, (ma con molti concorrenti) che adottano la trazione HT (il brevetto, della Technics, disponibile su licenza, non più esclusiva).
Nel periodo fine anni ’70, quello della “febbre del sabato sera” tutto era lasciato alla creatività e fantasia dei DJ, non esistevano scuole di lavoro, si cominciava a mixare di più e parlare di meno sui dischi. Le tecniche del dj si affinavano grazie alla continua evoluzione non solo tecnologica ma anche discografica, i clubbers veri protagonisti delle Dancefloor, richiedevano un non stop musicale per non interrompere il loro divertimento, molte volte i dischi, allora principalmente 45giri o selezione da album, contemplavano dei Break sfumati sul finire del lato A del singolo e ripresi nella B side, interrompendo il Mood musicale. Con l’intuizione di Toum Moulton, (tecnico e ingegnere del suono), nasce il Disco Mix.
La “leggenda” racconta della necessita di riversare su un Acetato una disco version, che però in mancanza del supporto (7 inch) fu riversata su 12 inch, (standard per i 33 giri), mantenendo la velocità del singolo a 45 giri, si scopri cosi la maggiore fedeltà e dinamica grazie alla velocità e ai solchi più incisivi, e la possibilità di usare delle extended version per la maggior durata dell’incisione. Si iniziò cosi a produrre il disco mix, prima a livello promozionale poi con grande e inaspettato successo, come supporto di vendita. L’evoluzione tecnologica partiva sempre dall’esigenza dei dj, arrivando poi a diventare un accessorio indispensabile per il lavoro, ma simultaneamente anche un modello di bussines per il dj gear.
Ultima modifica di MAX TESTA il Dom 2 Ago 2015 - 13:07 - modificato 1 volta.