In passato era più semplice per le pop star capire quanto effettivamente avrebbero guadagnato dalla musica. Un acquirente comprava un cd in un qualsiasi negozio di dischi per 15 dollari e parte di quei danari finiva sul rendiconto dei diritti mensile. Poi però arrivò iTunes e ribaltò il banco del business musicale. Era se possibile ancora più facile (se non addirittura redditizio): tutte le volte che veniva acquistata una canzone a 99 centesimi, qualche penny veniva caricato sul conto in banca dell’artista.
Quelli sì che erano tempi in cui tutto era più semplice. Oggi, i fan musicali guardano video gratuiti su YouTube, ascoltano musica in streaming gratuito su Spotify, MOG o Rdio, customizzano stazioni radio su Pandora o Slacker e consumano le canzoni che amano in miliardi di modi diversi. Le frazioni di centesimo che ciascun artista guadagna per ognuno di questi servizi non sono più così tracciabili, almeno per ora. “ La gente preferisce semplificare e pensa, ‘Lì non ci sono soldi’” spiega Jeff Prince, fondatore di TuneCore, servizio che piazza le canzoni di molti artisti su iTunes, Spotify e altri. “In realtà è complesso, intricato e ancora non se ne capisce appieno il funzionamento”.
Ad esempio: sei Adele, la più grande pop star dell’anno. La tua canzone finisce in streaming su un Spotify – o YouTube, o Rdio, o Pandora. Continui a vendere attraverso i download di iTunes e Amazon, vendi ancora i cari vecchi CD in altrettanto vintage negozi di dischi. Quanto vieni pagata?
Rolling Stone ha parlato con diverse fonti del music business ed ha ottenuto le risposte che cercava.
SERVIZI CON SOTTOSCRIZIONE
Spotify, Mog, Rdio ed altri sevizi a sottoscrizione sono sia gratuiti (con la pubblicità) sia a pagamento, per ascoltare senza limiti la musica in streaming. Secondo un band manager il calcolo è rapido: se una canzone viene ascoltata 60 volte, l’autore (chi compone materialmente il brano, ndr) riceve 9.1 centesimi di dollari di diritti meccanici derivati dall’ascolto, mentre l’interprete (chi esegue il pezzo, ndr) guadagna 38 centesimi (o divide il guadagno fifty-fifty con un etichetta, per contratto).
A qusto punto, forse non gradirete sapere la formula di calcolo più macchinosa. “E’ più che complicata. Io personalmente ci ho messo più di tre mesi per capirla”, ha dichiarato Jeff Prince, fondatore di TuneCore, che si intasca 10 dollari per un singolo e 50 per un album per piazzare la musica sugli store digitali come Amazon e iTunes, oltre ai servizi a pagamento come Spotify o MOG.
In generale, le etichette trattengono il 10,5 percento dei guadagni provenienti da Spotify o MOG, il resto lo dividono con l’artista a seconda del contratto. “D’altra parte, ogni servizio cambia formula letteralmente dunque volte al mese --- sul primo tipo di calcolo, hanno due sottosezioni di pagamento. Quindi bisogna togliere il più alto di quei valori e compararlo con le altre tre. Dopo questo, devi di fatto applicare la formula cinque volte”.
Dato che le formule sono così arzigogolate e le cifre che arrivano sui rendiconti degli artisti ancora così basse, sono ancora pochi gli avvocati e i manager degli artisti che capiscono davvero quanto possano guadagnare da Spotify, Rdio, MOG o altri servizi relativamente nuovi di streaming.
Ma Price spiega come Spotify e gli altri incoraggino i fan ad esplorare nuova musica, ascoltare canzoni che altrimenti non raggiungerebbero diversamente. Anche se non è la paga giornaliera di una rockstar, è comunque qualcosa. “Sono tanti soldi? Penso che potrebbero diventare tanti, sì”, secondo Jim Guerinot, manager dei Nine Inch Nails e dei No Doubt.
ITUNES
Adele, sotto contratto negli USA con Sony Music (in Europa con Domino, ndr) vende su iTunes la sua Rolling in Deep per 1.29 dollari. Apple, come negoziante, si trattiene il 30%, o al lordo il 40%. Il Restante 90 va a Sony. Da quella cifra, Sony trattiene il 9.1% di diritti meccanici, pagati a Adele e al suo co-autore, Paul Epworth (sebbene loro debbano dividere la cifra con le rispettive società di publishing), il che lascia ad Adele all’incirca 81 centesimi per donwload.
Un contratto discografico standard concede agli artisti dal 12 al 20% delle vendite, a seconda della grandezza delle star, così facendo una media possiamo dire che la percentuale di guadagno di Adele si aggiri intorno al 16%. Il guadagno per canzone è di circa 20 centesimi (questo assumendo che Adele abbia fatto abbastanza per ripagarsi le spese dell’album, d’altra parte contribuirebbe solamente a ripagare il debito con l’etichetta). Il rimanente, pari circa al 60% va direttamente a Sony per ripagare il marketing, la pubblicità, i video i salari dei manager e, ovviamente, il guadagno.
Di certo molti artisti non vogliono dividere all’incirca la metà dei loro diritti con una major come Sony, che fondamentalmente è un mediatore. Prima di internet e di programmi come ProTools, un artista doveva firmare con un’etichetta soltanto per essere ascoltato. Questa situazione oggi come oggi è impensabile. Oggi, un’artista può pagare un un servizio come TUneCore per essere inclusa nell’iTunes Store. A quel punto, defalcando i guadagni di Apple, il 90% dei guadagni finisce direttamente all’artista.
VEVO e YOUTUBE
In pochi anni il traffico generato da YouTube è cresciuto enormemente, fino a diventare una macchina da soldi per le industrie discografiche. I video più popolari – quelli che generano milioni di visite – possono essere arricchiti di banner pubblicitari, e YouTube divide i guadagni con chi detiene il copyright del video. Il bello è che vale sia per i video più sfigati, quelli fatti in casa, che usano le canzoni più popolari come colonna sonora così come i videoclip originali delle star. Per i video fatti in casa, funziona all’incirca così: il clip di JK Wedding Entrance Dance ha come colonna sonora Forever di Chris Brown ed ha già raggiunto 70 milionidi visualizzazioni da quando venne caricato nel luglio 2009.
Dopo che il video divenne una hit mondiale, il personale che si occupa dell’identificazione dei contenuti di YouTube e gli uomini di Sony Music (etichetta di Chris Brown) fecero due chiacchiere. Le strade erano due: dato che YouTube non è un servizio pirata come Kazaa o LimeWire, avrebbe potuto togliere il video immediatamente – o avrebbe potuto vendere pubblicità per quel video. Secondo fonti del music business, un artista di serie A guadagna un dollaro per ogni 1000 visualizzazioni del video, ergo Sony ha ricevuto, secondo le nostre stime approssimative, all’incirca 70 mila dollari per JK Wedding Entrance Dance.
(Con Vevo quel guadagno si moltiplica per 5 o per 10). Gli artisti guadagnano una frazione di quella cifra a seconda delle percentuali stipulate da contratto. Quale strada ha scelto Sony? Semplice, basta guardare l’enorme quantità di banner, fuori e dentro e durante JK Wedding Entrance Dance.
I veri artisti indipendenti – come gli OK Go, primi re dei clip su internet che hanno da poco rescisso il contratto con la loro etichetta storica EMI – si trovano in una posizione decisamente più interessante in questo scenario. “Conosco personalmente artisti che guadagnano decine di migliaia di dollari al mese con YouTube”, ha dichiarato Eric Garland, CEO di BigChampagne.com, un servizio che misura l’andamento online del file sharing illegale e vende i dati alle etichette. “Ci sono artisti che guadagnano più soldi con YouTube che con iTunes”.
COMPACT DISC
A proposito di grandi guadagni, il compact disc era un mezzo estremamente redditizio per gli artisti e (in particolare) per le etichette per più di due decenni, fino a quando Internet, gli mp3, la pirateria, Napster, iTunes, YouTube e Spotify hanno ridotto enormemente la cifra negli ultimi 10 anni. La formula di pagamento per un artista è più o meno la stessa che per iTunes – soltanto le etichette hanno tradizionalmente rimosso le enormi percentuali (per via di misteriose deduzioni) che gravavano sul prezzo.
Alla fine della fiera ed in termini piuttosto generici, l’artista guadagna all’incirca 1,93 dollari a cd venduto, mentre l’etichetta 9,74 (dando per scontato, ancora una volta, che l’artista in questione abbia recuperato le spese, ovvero non debba ripagare l’etichetta per i video, il supporto al tour e altro ancora. Dieci anni fa, questa disparità di trattamento generò scontri e polemiche fra gli artisti e le etichette per cui lavoravano, ed è ancora vero oggi, ma gli artisti in realtà puntano soprattutto sui concerti dal vivo.
Di Steve Knopper
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Quelli sì che erano tempi in cui tutto era più semplice. Oggi, i fan musicali guardano video gratuiti su YouTube, ascoltano musica in streaming gratuito su Spotify, MOG o Rdio, customizzano stazioni radio su Pandora o Slacker e consumano le canzoni che amano in miliardi di modi diversi. Le frazioni di centesimo che ciascun artista guadagna per ognuno di questi servizi non sono più così tracciabili, almeno per ora. “ La gente preferisce semplificare e pensa, ‘Lì non ci sono soldi’” spiega Jeff Prince, fondatore di TuneCore, servizio che piazza le canzoni di molti artisti su iTunes, Spotify e altri. “In realtà è complesso, intricato e ancora non se ne capisce appieno il funzionamento”.
Ad esempio: sei Adele, la più grande pop star dell’anno. La tua canzone finisce in streaming su un Spotify – o YouTube, o Rdio, o Pandora. Continui a vendere attraverso i download di iTunes e Amazon, vendi ancora i cari vecchi CD in altrettanto vintage negozi di dischi. Quanto vieni pagata?
Rolling Stone ha parlato con diverse fonti del music business ed ha ottenuto le risposte che cercava.
SERVIZI CON SOTTOSCRIZIONE
Spotify, Mog, Rdio ed altri sevizi a sottoscrizione sono sia gratuiti (con la pubblicità) sia a pagamento, per ascoltare senza limiti la musica in streaming. Secondo un band manager il calcolo è rapido: se una canzone viene ascoltata 60 volte, l’autore (chi compone materialmente il brano, ndr) riceve 9.1 centesimi di dollari di diritti meccanici derivati dall’ascolto, mentre l’interprete (chi esegue il pezzo, ndr) guadagna 38 centesimi (o divide il guadagno fifty-fifty con un etichetta, per contratto).
A qusto punto, forse non gradirete sapere la formula di calcolo più macchinosa. “E’ più che complicata. Io personalmente ci ho messo più di tre mesi per capirla”, ha dichiarato Jeff Prince, fondatore di TuneCore, che si intasca 10 dollari per un singolo e 50 per un album per piazzare la musica sugli store digitali come Amazon e iTunes, oltre ai servizi a pagamento come Spotify o MOG.
In generale, le etichette trattengono il 10,5 percento dei guadagni provenienti da Spotify o MOG, il resto lo dividono con l’artista a seconda del contratto. “D’altra parte, ogni servizio cambia formula letteralmente dunque volte al mese --- sul primo tipo di calcolo, hanno due sottosezioni di pagamento. Quindi bisogna togliere il più alto di quei valori e compararlo con le altre tre. Dopo questo, devi di fatto applicare la formula cinque volte”.
Dato che le formule sono così arzigogolate e le cifre che arrivano sui rendiconti degli artisti ancora così basse, sono ancora pochi gli avvocati e i manager degli artisti che capiscono davvero quanto possano guadagnare da Spotify, Rdio, MOG o altri servizi relativamente nuovi di streaming.
Ma Price spiega come Spotify e gli altri incoraggino i fan ad esplorare nuova musica, ascoltare canzoni che altrimenti non raggiungerebbero diversamente. Anche se non è la paga giornaliera di una rockstar, è comunque qualcosa. “Sono tanti soldi? Penso che potrebbero diventare tanti, sì”, secondo Jim Guerinot, manager dei Nine Inch Nails e dei No Doubt.
ITUNES
Adele, sotto contratto negli USA con Sony Music (in Europa con Domino, ndr) vende su iTunes la sua Rolling in Deep per 1.29 dollari. Apple, come negoziante, si trattiene il 30%, o al lordo il 40%. Il Restante 90 va a Sony. Da quella cifra, Sony trattiene il 9.1% di diritti meccanici, pagati a Adele e al suo co-autore, Paul Epworth (sebbene loro debbano dividere la cifra con le rispettive società di publishing), il che lascia ad Adele all’incirca 81 centesimi per donwload.
Un contratto discografico standard concede agli artisti dal 12 al 20% delle vendite, a seconda della grandezza delle star, così facendo una media possiamo dire che la percentuale di guadagno di Adele si aggiri intorno al 16%. Il guadagno per canzone è di circa 20 centesimi (questo assumendo che Adele abbia fatto abbastanza per ripagarsi le spese dell’album, d’altra parte contribuirebbe solamente a ripagare il debito con l’etichetta). Il rimanente, pari circa al 60% va direttamente a Sony per ripagare il marketing, la pubblicità, i video i salari dei manager e, ovviamente, il guadagno.
Di certo molti artisti non vogliono dividere all’incirca la metà dei loro diritti con una major come Sony, che fondamentalmente è un mediatore. Prima di internet e di programmi come ProTools, un artista doveva firmare con un’etichetta soltanto per essere ascoltato. Questa situazione oggi come oggi è impensabile. Oggi, un’artista può pagare un un servizio come TUneCore per essere inclusa nell’iTunes Store. A quel punto, defalcando i guadagni di Apple, il 90% dei guadagni finisce direttamente all’artista.
VEVO e YOUTUBE
In pochi anni il traffico generato da YouTube è cresciuto enormemente, fino a diventare una macchina da soldi per le industrie discografiche. I video più popolari – quelli che generano milioni di visite – possono essere arricchiti di banner pubblicitari, e YouTube divide i guadagni con chi detiene il copyright del video. Il bello è che vale sia per i video più sfigati, quelli fatti in casa, che usano le canzoni più popolari come colonna sonora così come i videoclip originali delle star. Per i video fatti in casa, funziona all’incirca così: il clip di JK Wedding Entrance Dance ha come colonna sonora Forever di Chris Brown ed ha già raggiunto 70 milionidi visualizzazioni da quando venne caricato nel luglio 2009.
Dopo che il video divenne una hit mondiale, il personale che si occupa dell’identificazione dei contenuti di YouTube e gli uomini di Sony Music (etichetta di Chris Brown) fecero due chiacchiere. Le strade erano due: dato che YouTube non è un servizio pirata come Kazaa o LimeWire, avrebbe potuto togliere il video immediatamente – o avrebbe potuto vendere pubblicità per quel video. Secondo fonti del music business, un artista di serie A guadagna un dollaro per ogni 1000 visualizzazioni del video, ergo Sony ha ricevuto, secondo le nostre stime approssimative, all’incirca 70 mila dollari per JK Wedding Entrance Dance.
(Con Vevo quel guadagno si moltiplica per 5 o per 10). Gli artisti guadagnano una frazione di quella cifra a seconda delle percentuali stipulate da contratto. Quale strada ha scelto Sony? Semplice, basta guardare l’enorme quantità di banner, fuori e dentro e durante JK Wedding Entrance Dance.
I veri artisti indipendenti – come gli OK Go, primi re dei clip su internet che hanno da poco rescisso il contratto con la loro etichetta storica EMI – si trovano in una posizione decisamente più interessante in questo scenario. “Conosco personalmente artisti che guadagnano decine di migliaia di dollari al mese con YouTube”, ha dichiarato Eric Garland, CEO di BigChampagne.com, un servizio che misura l’andamento online del file sharing illegale e vende i dati alle etichette. “Ci sono artisti che guadagnano più soldi con YouTube che con iTunes”.
COMPACT DISC
A proposito di grandi guadagni, il compact disc era un mezzo estremamente redditizio per gli artisti e (in particolare) per le etichette per più di due decenni, fino a quando Internet, gli mp3, la pirateria, Napster, iTunes, YouTube e Spotify hanno ridotto enormemente la cifra negli ultimi 10 anni. La formula di pagamento per un artista è più o meno la stessa che per iTunes – soltanto le etichette hanno tradizionalmente rimosso le enormi percentuali (per via di misteriose deduzioni) che gravavano sul prezzo.
Alla fine della fiera ed in termini piuttosto generici, l’artista guadagna all’incirca 1,93 dollari a cd venduto, mentre l’etichetta 9,74 (dando per scontato, ancora una volta, che l’artista in questione abbia recuperato le spese, ovvero non debba ripagare l’etichetta per i video, il supporto al tour e altro ancora. Dieci anni fa, questa disparità di trattamento generò scontri e polemiche fra gli artisti e le etichette per cui lavoravano, ed è ancora vero oggi, ma gli artisti in realtà puntano soprattutto sui concerti dal vivo.
Di Steve Knopper
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