Sfoglio appassionatamente diverse riviste di musica, ma la mia preferita è l’inglese Mixmag (JocksMag è fuori concorso, ovviamente), e ogni volta che leggo un’intervista a un produttore della vecchia guardia, uno di quelli, per intenderci, che già sul finire degli anni 80 e nel pieno degli anni novanta ha sfornato diverse cosette, ci infila sempre che, ora, chiunque, con tre soldi può farsi un disco e caricarlo su di un digital stores.
Direi che, sotto alcuni aspetti, la condivido: troppe releases in uscita creano tanta confusione, penalizzando un po’ tutti, ma sicuramente i più danneggiati sono gli emergenti e non i vecchi leoni o le label che nel tempo si sono ritagliate fama e clientela; per questo trovo sterile, se non ridicolo e ingiusto quest’atteggiamento polemico di chi ha già una posizione privilegiata.
La storia che “ai tempi” solo quelli bravi pubblicavano i dischi è una vera stupidaggine. I pezzi brutti, anzi osceni ce ne sono sempre stati (e sempre c’è ne saranno), ed anche la nostra Italo Disco ha sfornato grandi bei brani ma anche tante puttanate! Semmai chi possedeva quattro e cinque milioni di lire aveva l’opportunità di pubblicare un brano (spendendo due o tre milioni solo per la sala d’incisione e il master), potendo giocare il jolly! Se il pezzo funzionava, era semplice entrare nel giro grosso.
Col senno di poi mi vien da dire che era fin troppo facile! Ora, e fin troppo difficile, per tutti.
E’ naturale rimpiangere i vecchi modus operandi e gli introiti che si avevano venti anni fa. Chi non vorrebbe bypassare questa recessione o tornare ai bei guadagni di una volta? E' doveroso, però, non addossare le colpe ai giovani producers, che fanno del loro meglio per ritagliarsi un po’ di spazio in un mondo ostico e perennemente in crisi.
Il filtro che stimolava le label alla qualità era come sempre il vil denaro, in altre parole “vale la pena investire su questo prodotto o artista?”, “Ci conviene far stampare questo vinile?”. Il metodo ha funzionato più che bene per decenni, fino all’era di Internet.
Per me, è molto più democratico ora che non allora, ma è anche innegabile che la moltitudine di produzioni home-made ha effettivamente abbassato la qualità; è altresì vero che oggi è molto più difficile emergere, sempre a causa dei numeri incredibili di tracce sul mercato.
La soluzione? Dipende cosa s’intende per soluzione. Soluzione ai guadagni o a far emergere gli artisti più bravi? Per la prima occorre aspettare con pazienza a data da destinarsi. Per la seconda un sistema possibile, anche se poco democratico, potrebbe giocarsi sul ruolo dei digital stores la cui mansione potrebbe avvicinarsi a quella del distributore internazionale, che già, molto spesso, bypassa; anche quando esiste, è una figura sostanzialmente differente dal passato essendo più un intermediario-aggregatore che un distributore, che valuta cosa e chi pubblicare.
Gravandosi di questo impegno i negozi digitali potrebbero diventare diffusori della buona musica.
di Marco Corona http://www.fintofigo.com/