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Carlo Andrea Raggi alias Cirillo è ricordato come una delle colonne portanti del Cocoricò, tra le discoteche più note in Italia. Con un mix selvaggio tra techno, hard trance ed hardcore, negli anni Novanta conquista pure il pubblico d’oltralpe figurando con una certa regolarità nelle lineup di eventi di rilevanza internazionale come MayDay, Energy e Love Parade. Basta girovagare un po’ su YouTube per imbattersi in una serie di clip relative alle sue numerose apparizioni: dall’intervista e il set al MayDay del 1994 alla performance tenuta alla Love Parade nello stesso anno, dal set all’Energy ’95 a quello della Love Parade ’97. Sul fronte discografico inanella una serie di collaborazioni con colleghi di tutto rispetto come Marc Trauner dei PCP e Lenny Dee, ma non si esime dal misurarsi in brani che generano l’interesse del pubblico meno settoriale. Dal 1991 al 1999 figura infatti nella formazione dei Datura, contribuendo alla realizzazione di una fortunatissima parata di pezzi (“Nu Style”, “Yerba Del Diablo”, “Devotion”, “Eternity”, “Fade To Grey”, “The 7th Hallucination”, “Infinity”, “Angeli Domini”, “Mantra”, “Voo-Doo Believe?”, “The Sign”, “I Will Pray”, “I Love To Dance”) che contraddistinguono la carriera della formazione bolognese. Poi crea etichette discografiche come Steel Wheel, Red Alert, Spectra e Lisergica, firma altri brani come “Seaside”, “Compulsion”, “Across The Soundline” e “Sunnygirl”, sino a variare la propria proposta musicale nei primi Duemila, quando la distanza tra techno ed house si riduce sensibilmente.
Inizi a fare il DJ nel 1980: come approcci a questa professione e alla musica dance/elettronica? Ricordi quali furono i primi dischi che mettesti in sequenza mixata?
Tutto nacque dall’amore per la musica, cosa molto comune per i giovani di allora. Erano tempi in cui o ci si appassionava di calcio o di musica appunto. Riguardo il motivo per cui sono diventato un DJ, tutto deriva dal fatto di essere cresciuto in una zona, quella della riviera adriatica, che ha visto nascere questa professione. Credo che l’impatto che ha avuto la Baia Degli Angeli su tutto il panorama del clubbing nazionale sia stato molto forte. Il sound proposto da Claudio Rispoli, meglio conosciuto come Mozart, e Claudio Tosi Brandi alias TBC, ha letteralmente cambiato la vita sia a me che al mio amico Ricky Montanari. Credo che la causa scatenante sia stata quindi l’insieme di queste cose. Per quanto concerne i primi dischi da me mixati, credo siano stati “You Can Do It” di Al Hudson & The Partners e “Found A Cure” di Ashford & Simpson.
In che locali lavoravi negli anni Ottanta? Che tipo di selezione musicale facevi?
Uno dei primi posti in cui ho lavorato fu il Carnaby, un club per turisti nella zona mare di Rimini dove mettevo prevalentemente discomusic e funky. Poi, in seguito, passai in discoteche della zona di Riccione (anche se localizzate nel comune di Misano) come la Villa Delle Rose e il Peter Pan. Qui iniziai a suonare la prima house, dopo la metà degli anni Ottanta.
Come nasce l’alias Cirillo?
È un soprannome che mi porto dietro dall’età adolescenziale e che sostanzialmente deriva dal dialetto riminese. Mi abituai a sentirlo così pensai di tenerlo.
I tuoi anni Novanta invece sono legati a doppio filo al Cocoricò: cosa c’era di così unico nel club di Riccione di quegli anni?
Il Cocoricò ha aperto nel 1989, io arrivai lì nel 1990 grazie a Davide Nicolò, grande animatore delle notti della riviera e che allora ricopriva ruolo di direttore artistico. Sostanzialmente era unico per essere il primo grande locale della riviera a proporre techno. Quella zona era già al centro dell’attenzione generale e questa cosa ha indubbiamente aiutato il Cocco a diventare un vero riferimento, ma il successo deriva anche dal fatto che tra le sue mura vennero ospitati i migliori artisti techno europei.
Parte del merito spetta anche a Loris Riccardi? Siete ancora in contatto?
Loris arrivò dopo per cui non incise sull’impronta musicale principale del locale, anche se gli conferì una ulteriore dimensione artistica, mettendo in scena allestimenti unici e performance con artisti di grido provenienti dal teatro d’avanguardia. Grazie a lui, inoltre, il privé Morphine divenne qualcosa di unico, supportato da Nicoletta Magalotti, attrice e cantante riminese, e David Love Calò, DJ radiofonico fiorentino. Loris fu un genio in questo senso, anche un po’ folle, ma folli lo eravamo tutti al Cocco. Da quando ha lasciato il Cocoricò non ha più frequentato il mondo della notte e così ci siamo persi di vista. Ci tengo però a ricordare anche i primi proprietari del Cocoricò, Osvaldo Barbieri e Bruno Palazzi, che sono scomparsi. Il Cocoricò è nato e cresciuto grazie a loro che ci hanno sempre lasciato una grande libertà. Posso tranquillamente affermare che al Cocco ho sempre seguito il mio istinto e non ho mai concordato con nessuno la mia proposta musicale, ma probabilmente in quei periodi era una cosa comune e l’ho riscontrato parlando con vari colleghi. Eravamo veramente liberi di suonare ciò che volevamo.
Fatta eccezione per le fenomenologie musicali, quali sostanziali cambiamenti correvano tra il clubbing degli anni Ottanta e quello dei Novanta?
L’esplosione del fenomeno discoteca trasformò la dimensione artigianale in industriale. Tutto diventò più grande, dai club ai raduni rave, le realtà nazionali divennero internazionali e gli artisti iniziarono a viaggiare per l’Europa e per il mondo proponendo la loro musica. Le organizzazioni crebbero al punto da convertirsi in vere e proprie aziende. Ovviamente anche le nostre vite sono cambiate, da DJ che suonava in un contesto familiare mi ritrovai a confrontarmi con un palcoscenico del tutto differente.
Per il DJ invece, quali scenari si prospettarono dal 1990 in poi? Probabilmente il più importante fu quello della produzione discografica, che nel decennio precedente era praticamente in mano ai soli musicisti?
Sì, sostanzialmente fu così. Credo che faccia parte di una normale evoluzione. Allora eravamo poco più che ventenni e molto disposti a sperimentare sempre qualcosa di nuovo. Cimentarsi in produzioni nostre era lo sbocco normale per l’energia che avevamo addosso.
Nonostante, come da tua stessa ammissione, non sia stato particolarmente costante nell’attività da produttore, vanti una discografia ricca e multi sfaccettata. Quale fu la tua prima esperienza in studio di incisione?
Il mio primo lavoro fu Brother’s Brigade, un white label firmato con Leo Young, a cui seguì “Anjuna’s Dream” sulla Inter Dance, nel 1991.
Nel 1993 incidi “Free Beach” di GoaHead per la tedesca Eye Q Records: come arrivasti all’etichetta di Sven Väth, Matthias Hoffmann ed Heinz Roth?
Viaggiando ci si conosceva e si socializzava parecchio tra i vari DJ. Andavo a suonare spesso in Germania e poi invitavo loro al Cocoricò, quindi tutto nacque di conseguenza.
GoaHead era un progetto nato con Pierluigi ‘Tin Tin’ Melato, col quale hai continuato a collaborare creando altri dischi come Cyberia, Pro-Pulse ed Arkano: come ricordi il lavoro a quattro mani con lui?
Credo che in questi lavori riuscimmo a dare fondo alla nostra creatività, rimangono ancora molto vivi visto che qualche artista di grido li suona ancora oggi.
Trashman invece?
Fu un progetto nato nel 1992 con Ricci ed anche in questo caso ritengo che facemmo un gran lavoro.
A proposito di collaborazioni: vale davvero la pena ricordare anche le sinergie che stringesti con Marc Trauner (per Mentasm Mafia) e Lenny Dee (per “Wake Up Brooklyn”, che includeva una citazione dei Nitzer Ebb): sulla base di cosa nascevano questi tandem creativi?
Erano cooperazioni nate con la stessa modalità di cui parlavo prima. Ai tempi condividevo con queste persone una grande amicizia che ci portava a collaborare in studio. Con Lenny Dee sono ancora in contatto, tra noi c’è un bellissimo rapporto.
Per molti anni hai fatto parte dei Datura, inizialmente in modo esplicito figurando sulle copertine, in seguito in maniera defilata come autore. Come mai, insieme a Ricci, ti unisti a Mazzavillani e Pagano? Perché poi abbandonaste?
Iniziammo a collaborare per un remix, poi decidemmo di creare un progetto comune a cui io stesso diedi il nome Datura. In seguito le nostre strade si divisero come conseguenza dei diversi percorsi che stavamo facendo. Io e Ricci abbiamo preso altre vie come DJ, loro hanno continuato in linea con il loro lavoro di musicisti.
Nel 1994, insieme a Ricci, fondi la Steel Wheel, che in breve diventa un autentico crocevia di nomi di levatura internazionale in ambito techno, trance ed hardcore: da Marco Bailey ad Aurora Borealis, da Aqualite a The Prophet passando per Sunbeam, vari episodi dei Code e Yves Deruyter. Come avevate concepito quell’etichetta?
Fondamentalmente la creammo per licenziare tracce straniere in Italia. Eravamo sempre in giro per l’Europa e quindi si presentavano molte possibilità di relazionarci coi migliori artisti dell’epoca, così venne quasi naturale creare una piattaforma come Steel Wheel.
Dopo un paio di anni molli l’Expanded Music (a cui Steel Wheel era legata) per fondare, insieme a Paolino Nobile (intervistato qui), l’Arsenic Sound, ed “inventi” altre etichette destinate a lasciare il segno, Red Alert, Lisergica Records (ricordata tra le prime label italiane a dedicarsi alla goa trance) e Spectra Records. A cosa fu dovuto quel cambiamento?
Esclusivamente ad un percorso di crescita personale, sia a livello artistico che imprenditoriale. Non ci furono attriti con l’Expanded Music con cui ho lavorato sempre molto bene.
Nel 1996 la Save The Vinyl del compianto Mark Spoon pubblica il tuo “Kiss”: come mai l’Underground Mix rimane confinata al solo formato promozionale?
Fu una decisione del povero Mark, non so esattamente dovuta a cosa. Con lui avevo un rapporto straordinario, credo sia stato il più grande esponente della scena tedesca di quel periodo. La sua scomparsa è stata una grande perdita per me.
A quale dei dischi che hai inciso sei maggiormente legato?
Brother’s Brigade, perché fu il primo, e “Mr. Chill’s Back” di Cyberia perché credo sia il meglio riuscito, quello che quando lo suoni senti che fa ancora la differenza.
Sei stato tra i primi DJ italiani a partecipare ad importanti eventi esteri come MayDay, Energy e Love Parade. Che aria si respirava ai rave iconici degli anni Novanta?
Nonostante all’epoca fossero già definibili grandi eventi c’era un’atmosfera molto amichevole sia con gli organizzatori che tra noi artisti. Era un momento di incontro dove scambiarsi opinioni e molti promo, così non vedevamo l’ora di partecipare. Credo che l’evento che mi ha segnato maggiormente fu la Love Parade del 1993, un’esperienza unica anche per come vissi Berlino in quei giorni, qualcosa di veramente pazzesco.
In questa intervista di Luigi Grecola pubblicata da Soundwall nel 2013 riveli di aver frequentato la scena rave romana: chi e cosa ricordi di quella emozionante fase?
Un’atmosfera straordinaria. C’era una voglia incredibile di far festa e di ascoltare buona musica. Il livello era davvero molto alto. Poi ho scoperto che la scena rave romana era molto di più di ciò che avevo potuto vedere io. Quello che mi ricordo con piacere sono i vari personaggi di allora come Andrea Pelino, Chicco Furlotti, Leo Young e un DJ formidabile come Lory D.
Sabato 7 giugno del 1997 i Daft Punk furono guest al Cocoricò ma pare che qualcosa non andò per il verso giusto. In Decadance Extra abbiamo raccolto le testimonianze di David Love Calò e Luca Roccatagliati, presenti all’evento, ma mi piacerebbe conoscere anche la tua versione dei fatti. Cosa avvenne?
Nulla di particolare: il loro atteggiamento da superstar andò ad infrangersi col fatto che noi lì eravamo i padroni di casa. Ci mancarono di rispetto e finirono fuori dalla consolle, tutto qui.
Tornando a parlare di dischi, credo che tu sia stato tra i primi italiani ad approcciare alle realtà discografiche d’oltralpe (cosa non molto frequente negli anni Novanta) come le citate Eye Q Records e Save The Vinyl, la Dance Ecstasy 2001, la IST Records e la Vandit Records di Paul van Dyk a cui destini il singolo “Cristallo” nel 2001. C’erano radicali differenze nel modo di lavorare tra realtà discografiche italiane ed estere?
In Italia non si lavorava male, anzi, però all’estero riuscivano a garantire standard da major, cosa impossibile da noi. Questa era la differenza principale. Nel nostro Paese si pensava soltanto alla promozione di un disco.
Dove compravi i dischi negli anni Novanta? Quanti soldi spendevi mediamente al mese?
Acquistavo molto materiale a Londra e Francoforte ma principalmente al Disco Più di Rimini, uno dei negozi più forniti dei tempi. Sinceramente non ricordo quanto spendessi, ma erano cifre importanti.
I cosiddetti eventi “remembering” servono solo ai nostalgici oppure anche per far scoprire cose nuove ai più giovani che, per motivi anagrafici, non hanno vissuto certi periodi?
Possono servire per trasmettere una cultura musicale ai più giovani ma a patto che siano organizzati con criterio e curando tutti i particolari, che è quello che tentiamo di fare noi col Memorabilia.
Dal 2000 in poi la tua proposta musicale si è progressivamente “ammorbidita”. Lo si capiva già dai dischi recensiti in “Poison Dimension” su DiscoiD, ma anche da produzioni come Quasistereo, realizzata insieme a Ricky Montanari e Davide Ruberto. Cosa ti ha portato verso una direzione nuova? Voglia di esplorare territori inediti?
È stato il periodo in cui mi trasferii ad Ibiza e quando creammo il Circoloco. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo e l’isola me lo stava fornendo. Poi mi mancava il fatto di non aver prodotto nulla con Ricky per cui tutto è venuto di conseguenza.
Con chi ti sarebbe piaciuto collaborare, tra DJ/compositori o etichette, negli anni Novanta?
Molti di quel periodo ma credo che quelli con cui ho lavorato siano già sufficienti.
Chi invece, tra i DJ con cui hai diviso la consolle nel corso degli anni, ti ha lasciato un ricordo migliore?
Agli inizi sicuramente Ricky Montanari. In quegli anni condividevamo tutto e suonare insieme per noi era un fatto naturale. Non posso fare a meno di ricordare Ricci e Mark Spoon, due che se ne sono andati troppo presto ma che avevano ancora molto da dire. Poi tutti coloro a cui mi ha legato una grande amicizia e molte affinità professionali come Carl Cox, Lenny Dee, PCP, Paul van Dyk, Sasha e Timo Maas, ma anche i ragazzi che ho conosciuto al DC10 come Loco Dice, Jamie Jones, Seth Troxler, The Martinez Brothers e Dan Ghenacia.
Quali sono i tre dischi del passato che continui ad inserire nei tuoi set con massima approvazione del pubblico?
Il citato “Mr. Chill’s Back” di Cyberia, “Mystic Force” di Mystic Force ed “Altered States”di Ron Trent.
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Carlo Andrea Raggi alias Cirillo è ricordato come una delle colonne portanti del Cocoricò, tra le discoteche più note in Italia. Con un mix selvaggio tra techno, hard trance ed hardcore, negli anni Novanta conquista pure il pubblico d’oltralpe figurando con una certa regolarità nelle lineup di eventi di rilevanza internazionale come MayDay, Energy e Love Parade. Basta girovagare un po’ su YouTube per imbattersi in una serie di clip relative alle sue numerose apparizioni: dall’intervista e il set al MayDay del 1994 alla performance tenuta alla Love Parade nello stesso anno, dal set all’Energy ’95 a quello della Love Parade ’97. Sul fronte discografico inanella una serie di collaborazioni con colleghi di tutto rispetto come Marc Trauner dei PCP e Lenny Dee, ma non si esime dal misurarsi in brani che generano l’interesse del pubblico meno settoriale. Dal 1991 al 1999 figura infatti nella formazione dei Datura, contribuendo alla realizzazione di una fortunatissima parata di pezzi (“Nu Style”, “Yerba Del Diablo”, “Devotion”, “Eternity”, “Fade To Grey”, “The 7th Hallucination”, “Infinity”, “Angeli Domini”, “Mantra”, “Voo-Doo Believe?”, “The Sign”, “I Will Pray”, “I Love To Dance”) che contraddistinguono la carriera della formazione bolognese. Poi crea etichette discografiche come Steel Wheel, Red Alert, Spectra e Lisergica, firma altri brani come “Seaside”, “Compulsion”, “Across The Soundline” e “Sunnygirl”, sino a variare la propria proposta musicale nei primi Duemila, quando la distanza tra techno ed house si riduce sensibilmente.
Inizi a fare il DJ nel 1980: come approcci a questa professione e alla musica dance/elettronica? Ricordi quali furono i primi dischi che mettesti in sequenza mixata?
Tutto nacque dall’amore per la musica, cosa molto comune per i giovani di allora. Erano tempi in cui o ci si appassionava di calcio o di musica appunto. Riguardo il motivo per cui sono diventato un DJ, tutto deriva dal fatto di essere cresciuto in una zona, quella della riviera adriatica, che ha visto nascere questa professione. Credo che l’impatto che ha avuto la Baia Degli Angeli su tutto il panorama del clubbing nazionale sia stato molto forte. Il sound proposto da Claudio Rispoli, meglio conosciuto come Mozart, e Claudio Tosi Brandi alias TBC, ha letteralmente cambiato la vita sia a me che al mio amico Ricky Montanari. Credo che la causa scatenante sia stata quindi l’insieme di queste cose. Per quanto concerne i primi dischi da me mixati, credo siano stati “You Can Do It” di Al Hudson & The Partners e “Found A Cure” di Ashford & Simpson.
In che locali lavoravi negli anni Ottanta? Che tipo di selezione musicale facevi?
Uno dei primi posti in cui ho lavorato fu il Carnaby, un club per turisti nella zona mare di Rimini dove mettevo prevalentemente discomusic e funky. Poi, in seguito, passai in discoteche della zona di Riccione (anche se localizzate nel comune di Misano) come la Villa Delle Rose e il Peter Pan. Qui iniziai a suonare la prima house, dopo la metà degli anni Ottanta.
Come nasce l’alias Cirillo?
È un soprannome che mi porto dietro dall’età adolescenziale e che sostanzialmente deriva dal dialetto riminese. Mi abituai a sentirlo così pensai di tenerlo.
I tuoi anni Novanta invece sono legati a doppio filo al Cocoricò: cosa c’era di così unico nel club di Riccione di quegli anni?
Il Cocoricò ha aperto nel 1989, io arrivai lì nel 1990 grazie a Davide Nicolò, grande animatore delle notti della riviera e che allora ricopriva ruolo di direttore artistico. Sostanzialmente era unico per essere il primo grande locale della riviera a proporre techno. Quella zona era già al centro dell’attenzione generale e questa cosa ha indubbiamente aiutato il Cocco a diventare un vero riferimento, ma il successo deriva anche dal fatto che tra le sue mura vennero ospitati i migliori artisti techno europei.
Parte del merito spetta anche a Loris Riccardi? Siete ancora in contatto?
Loris arrivò dopo per cui non incise sull’impronta musicale principale del locale, anche se gli conferì una ulteriore dimensione artistica, mettendo in scena allestimenti unici e performance con artisti di grido provenienti dal teatro d’avanguardia. Grazie a lui, inoltre, il privé Morphine divenne qualcosa di unico, supportato da Nicoletta Magalotti, attrice e cantante riminese, e David Love Calò, DJ radiofonico fiorentino. Loris fu un genio in questo senso, anche un po’ folle, ma folli lo eravamo tutti al Cocco. Da quando ha lasciato il Cocoricò non ha più frequentato il mondo della notte e così ci siamo persi di vista. Ci tengo però a ricordare anche i primi proprietari del Cocoricò, Osvaldo Barbieri e Bruno Palazzi, che sono scomparsi. Il Cocoricò è nato e cresciuto grazie a loro che ci hanno sempre lasciato una grande libertà. Posso tranquillamente affermare che al Cocco ho sempre seguito il mio istinto e non ho mai concordato con nessuno la mia proposta musicale, ma probabilmente in quei periodi era una cosa comune e l’ho riscontrato parlando con vari colleghi. Eravamo veramente liberi di suonare ciò che volevamo.
Fatta eccezione per le fenomenologie musicali, quali sostanziali cambiamenti correvano tra il clubbing degli anni Ottanta e quello dei Novanta?
L’esplosione del fenomeno discoteca trasformò la dimensione artigianale in industriale. Tutto diventò più grande, dai club ai raduni rave, le realtà nazionali divennero internazionali e gli artisti iniziarono a viaggiare per l’Europa e per il mondo proponendo la loro musica. Le organizzazioni crebbero al punto da convertirsi in vere e proprie aziende. Ovviamente anche le nostre vite sono cambiate, da DJ che suonava in un contesto familiare mi ritrovai a confrontarmi con un palcoscenico del tutto differente.
Per il DJ invece, quali scenari si prospettarono dal 1990 in poi? Probabilmente il più importante fu quello della produzione discografica, che nel decennio precedente era praticamente in mano ai soli musicisti?
Sì, sostanzialmente fu così. Credo che faccia parte di una normale evoluzione. Allora eravamo poco più che ventenni e molto disposti a sperimentare sempre qualcosa di nuovo. Cimentarsi in produzioni nostre era lo sbocco normale per l’energia che avevamo addosso.
Nonostante, come da tua stessa ammissione, non sia stato particolarmente costante nell’attività da produttore, vanti una discografia ricca e multi sfaccettata. Quale fu la tua prima esperienza in studio di incisione?
Il mio primo lavoro fu Brother’s Brigade, un white label firmato con Leo Young, a cui seguì “Anjuna’s Dream” sulla Inter Dance, nel 1991.
Nel 1993 incidi “Free Beach” di GoaHead per la tedesca Eye Q Records: come arrivasti all’etichetta di Sven Väth, Matthias Hoffmann ed Heinz Roth?
Viaggiando ci si conosceva e si socializzava parecchio tra i vari DJ. Andavo a suonare spesso in Germania e poi invitavo loro al Cocoricò, quindi tutto nacque di conseguenza.
GoaHead era un progetto nato con Pierluigi ‘Tin Tin’ Melato, col quale hai continuato a collaborare creando altri dischi come Cyberia, Pro-Pulse ed Arkano: come ricordi il lavoro a quattro mani con lui?
Credo che in questi lavori riuscimmo a dare fondo alla nostra creatività, rimangono ancora molto vivi visto che qualche artista di grido li suona ancora oggi.
Trashman invece?
Fu un progetto nato nel 1992 con Ricci ed anche in questo caso ritengo che facemmo un gran lavoro.
A proposito di collaborazioni: vale davvero la pena ricordare anche le sinergie che stringesti con Marc Trauner (per Mentasm Mafia) e Lenny Dee (per “Wake Up Brooklyn”, che includeva una citazione dei Nitzer Ebb): sulla base di cosa nascevano questi tandem creativi?
Erano cooperazioni nate con la stessa modalità di cui parlavo prima. Ai tempi condividevo con queste persone una grande amicizia che ci portava a collaborare in studio. Con Lenny Dee sono ancora in contatto, tra noi c’è un bellissimo rapporto.
Per molti anni hai fatto parte dei Datura, inizialmente in modo esplicito figurando sulle copertine, in seguito in maniera defilata come autore. Come mai, insieme a Ricci, ti unisti a Mazzavillani e Pagano? Perché poi abbandonaste?
Iniziammo a collaborare per un remix, poi decidemmo di creare un progetto comune a cui io stesso diedi il nome Datura. In seguito le nostre strade si divisero come conseguenza dei diversi percorsi che stavamo facendo. Io e Ricci abbiamo preso altre vie come DJ, loro hanno continuato in linea con il loro lavoro di musicisti.
Nel 1994, insieme a Ricci, fondi la Steel Wheel, che in breve diventa un autentico crocevia di nomi di levatura internazionale in ambito techno, trance ed hardcore: da Marco Bailey ad Aurora Borealis, da Aqualite a The Prophet passando per Sunbeam, vari episodi dei Code e Yves Deruyter. Come avevate concepito quell’etichetta?
Fondamentalmente la creammo per licenziare tracce straniere in Italia. Eravamo sempre in giro per l’Europa e quindi si presentavano molte possibilità di relazionarci coi migliori artisti dell’epoca, così venne quasi naturale creare una piattaforma come Steel Wheel.
Dopo un paio di anni molli l’Expanded Music (a cui Steel Wheel era legata) per fondare, insieme a Paolino Nobile (intervistato qui), l’Arsenic Sound, ed “inventi” altre etichette destinate a lasciare il segno, Red Alert, Lisergica Records (ricordata tra le prime label italiane a dedicarsi alla goa trance) e Spectra Records. A cosa fu dovuto quel cambiamento?
Esclusivamente ad un percorso di crescita personale, sia a livello artistico che imprenditoriale. Non ci furono attriti con l’Expanded Music con cui ho lavorato sempre molto bene.
Nel 1996 la Save The Vinyl del compianto Mark Spoon pubblica il tuo “Kiss”: come mai l’Underground Mix rimane confinata al solo formato promozionale?
Fu una decisione del povero Mark, non so esattamente dovuta a cosa. Con lui avevo un rapporto straordinario, credo sia stato il più grande esponente della scena tedesca di quel periodo. La sua scomparsa è stata una grande perdita per me.
A quale dei dischi che hai inciso sei maggiormente legato?
Brother’s Brigade, perché fu il primo, e “Mr. Chill’s Back” di Cyberia perché credo sia il meglio riuscito, quello che quando lo suoni senti che fa ancora la differenza.
Sei stato tra i primi DJ italiani a partecipare ad importanti eventi esteri come MayDay, Energy e Love Parade. Che aria si respirava ai rave iconici degli anni Novanta?
Nonostante all’epoca fossero già definibili grandi eventi c’era un’atmosfera molto amichevole sia con gli organizzatori che tra noi artisti. Era un momento di incontro dove scambiarsi opinioni e molti promo, così non vedevamo l’ora di partecipare. Credo che l’evento che mi ha segnato maggiormente fu la Love Parade del 1993, un’esperienza unica anche per come vissi Berlino in quei giorni, qualcosa di veramente pazzesco.
In questa intervista di Luigi Grecola pubblicata da Soundwall nel 2013 riveli di aver frequentato la scena rave romana: chi e cosa ricordi di quella emozionante fase?
Un’atmosfera straordinaria. C’era una voglia incredibile di far festa e di ascoltare buona musica. Il livello era davvero molto alto. Poi ho scoperto che la scena rave romana era molto di più di ciò che avevo potuto vedere io. Quello che mi ricordo con piacere sono i vari personaggi di allora come Andrea Pelino, Chicco Furlotti, Leo Young e un DJ formidabile come Lory D.
Sabato 7 giugno del 1997 i Daft Punk furono guest al Cocoricò ma pare che qualcosa non andò per il verso giusto. In Decadance Extra abbiamo raccolto le testimonianze di David Love Calò e Luca Roccatagliati, presenti all’evento, ma mi piacerebbe conoscere anche la tua versione dei fatti. Cosa avvenne?
Nulla di particolare: il loro atteggiamento da superstar andò ad infrangersi col fatto che noi lì eravamo i padroni di casa. Ci mancarono di rispetto e finirono fuori dalla consolle, tutto qui.
Tornando a parlare di dischi, credo che tu sia stato tra i primi italiani ad approcciare alle realtà discografiche d’oltralpe (cosa non molto frequente negli anni Novanta) come le citate Eye Q Records e Save The Vinyl, la Dance Ecstasy 2001, la IST Records e la Vandit Records di Paul van Dyk a cui destini il singolo “Cristallo” nel 2001. C’erano radicali differenze nel modo di lavorare tra realtà discografiche italiane ed estere?
In Italia non si lavorava male, anzi, però all’estero riuscivano a garantire standard da major, cosa impossibile da noi. Questa era la differenza principale. Nel nostro Paese si pensava soltanto alla promozione di un disco.
Dove compravi i dischi negli anni Novanta? Quanti soldi spendevi mediamente al mese?
Acquistavo molto materiale a Londra e Francoforte ma principalmente al Disco Più di Rimini, uno dei negozi più forniti dei tempi. Sinceramente non ricordo quanto spendessi, ma erano cifre importanti.
I cosiddetti eventi “remembering” servono solo ai nostalgici oppure anche per far scoprire cose nuove ai più giovani che, per motivi anagrafici, non hanno vissuto certi periodi?
Possono servire per trasmettere una cultura musicale ai più giovani ma a patto che siano organizzati con criterio e curando tutti i particolari, che è quello che tentiamo di fare noi col Memorabilia.
Dal 2000 in poi la tua proposta musicale si è progressivamente “ammorbidita”. Lo si capiva già dai dischi recensiti in “Poison Dimension” su DiscoiD, ma anche da produzioni come Quasistereo, realizzata insieme a Ricky Montanari e Davide Ruberto. Cosa ti ha portato verso una direzione nuova? Voglia di esplorare territori inediti?
È stato il periodo in cui mi trasferii ad Ibiza e quando creammo il Circoloco. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo e l’isola me lo stava fornendo. Poi mi mancava il fatto di non aver prodotto nulla con Ricky per cui tutto è venuto di conseguenza.
Con chi ti sarebbe piaciuto collaborare, tra DJ/compositori o etichette, negli anni Novanta?
Molti di quel periodo ma credo che quelli con cui ho lavorato siano già sufficienti.
Chi invece, tra i DJ con cui hai diviso la consolle nel corso degli anni, ti ha lasciato un ricordo migliore?
Agli inizi sicuramente Ricky Montanari. In quegli anni condividevamo tutto e suonare insieme per noi era un fatto naturale. Non posso fare a meno di ricordare Ricci e Mark Spoon, due che se ne sono andati troppo presto ma che avevano ancora molto da dire. Poi tutti coloro a cui mi ha legato una grande amicizia e molte affinità professionali come Carl Cox, Lenny Dee, PCP, Paul van Dyk, Sasha e Timo Maas, ma anche i ragazzi che ho conosciuto al DC10 come Loco Dice, Jamie Jones, Seth Troxler, The Martinez Brothers e Dan Ghenacia.
Quali sono i tre dischi del passato che continui ad inserire nei tuoi set con massima approvazione del pubblico?
Il citato “Mr. Chill’s Back” di Cyberia, “Mystic Force” di Mystic Force ed “Altered States”di Ron Trent.
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