Kurt Cobain e gli ultimi maledetti del rock
Vent'anni fa lo schiaffo chiamato Grunge
Vent'anni fa lo schiaffo chiamato Grunge
Venti anni dal primo disco dei Nirvana, Bleach, 1989.
Quindici dalla morte prematura di Kurt Cobain, il prossimo 5 aprile.
Anniversari per celebrare qualcosa di unico, anzi, c'è chi dice, l'ultimo vero colpo di coda della musica non industriale.
Bleach, candeggina in inglese, sbiancò letteralmente tutto ciò che stava attorno; c'era solo il nero della sua cupezza e il rosso della sua forza.
Erano anni che non si sentiva qualcosa di così violento, ferocemente disperato e autodistruttivo.
Il grido di Kurt fu subito adottato da una generazione intera, quella a cui fu appioppata la X in faccia.
La generazione disillusa che usciva in apnea dagli anni Ottanta, quella senza gli occhi per intravedere oltre l'orizzonte cortissimo lasciato dal vuoto pneumatico dei fratelli maggiori.
Dallo yuppismo, dal mito del «self made», dall'edonismo, dai sintetizzatori, dalla musica usa e getta.
Bleach era l'ultimo grido della musica fatta col sangue, la disperazione a buon prezzo: seicento dollari scarsi di budget.
Era musica vera, era innanzitutto un demo-tape di Kurt il ribelle, e il suo schiaffo, il suo grido punk, primitivo, nichilista, i suoi ventidue anni emarginati e la sua voce indolente.
Era il non riconoscersi, il rinchiudersi nella cantina, il vomitare contro tutto e tutti.
Era la purezza di un tormentatissimo talento del rock.
Era lui e anche ciò che gli stava attorno, e che aveva cominciato a bollire qualche tempo prima.
Una città del nord ovest degli Stati Uniti, fredda e laterale, Seattle.
Una giovane etichetta ultra indipendente, la Sub Pop, che l'anno precedente aveva dato alle stampe la sua prima compilation con dentro anche i Sonic Youth e Steve Albini.
E non a caso i Pearl Jam se ne escono con un quadruplo cd di «Ten»
C'erano ragazzi che giravano per le strade con le chitarre in spalla e senza l'ambizione di farsi sponsorizzare da una linea di abbigliamento (oggi tutto il rock alternativo è stato fagocitato dal marketing delle multinazionali) ma che di lì a poco (come già era successo 20 anni prima dopo il Sessantotto), sarebbero stati recintati fino alla santificazione commerciale definitiva, la morte in passerella, con le camicie di flanella a scacchi e la maglietta lisa sotto a sformare i corpi esangui dei modelli di qualche stilista trendy.
Il grunge, in quel 1989 dell'uscita di Bleach, di fatto era già nato; l'anno prima, nella seconda compilation della Sub Pop c'erano i pezzi dei Soundgarden, dei Mudhoney, dei Greenriver, degli Screaming Trees e di molti altri, tra cui gli stessi Nirvana.
Erano band che da anni rimestavano nel torbido della loro post-adolescenza; si ispiravano all'hardcore californiano, ai Dead Kennedys, ma anche allo stile chitarristico di Neil Young e dell'hard rock anni Settanta (i Pearl Jam soprattutto, che in questo giorni danno alle stampe quattro edizioni diverse super lusso del loro esordio Ten), allo schiaffo dissacrante del punk dei Ramones, a un archetipo di non omologazione necessario, urgente, dopo la bulimia plastica che aveva seppellito il decennio precedente.
Difficile mettere tutte le band sotto uno stesso ombrello, perché in realtà ciò che è stato chiamato grunge è un eterogeneo magma di generi e gruppi, alcuni molto sopravvalutati in virtù della loro appartenenza geografica.
In comune forse (come tanti scrivono in queste ore su Facebook ispirati dall'anniversario dei Nirvana) quell'«approssimazione stilistica e quell'emotività del suono delle parole, più del loro significato» e ancora «quell'energia prima dello stile, l'emozione inconsapevole quindi rabbia, voglia di vivere».
Ultima modifica di MAX TESTA il Gio 28 Mar 2024 - 21:03 - modificato 4 volte.