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Uno dei motivi per cui ci piace così tanto la radio è, senza dubbio, il fatto che stimoli la nostra immaginazione. Basti pensare alla grande curiosità che hanno sempre destato, nell'ascoltatore comune, gli studi radiofonici, oggi un po' meno misteriosi, ma di certo non sconsacrati, a causa dell'invasione delle telecamere anche al loro interno.
Le luci magari un po' soffuse, i microfoni, lo scambio di sguardi con chi sta dall'altra parte del vetro: tante proiezioni di un luogo magico lontano dal tempo e dallo spazio, quasi inesistente. Eppure la radio c'è, esiste, e insieme con lei esistono le voci che la fanno parlare, quelle degli attori principali dello spettacolo radiofonico: gli speaker. Chi non ha mai provato a immaginarsi la faccia di uno speaker?
Ultimamente forse le cose sono un po' cambiate, il percorso spesso è inverso, nel senso che microfoni e frequenze vengono affidate a qualcuno in virtù della sua faccia e della sua popolarità invece che del livello della sua retorica. Ma pensiamo agli speaker tradizionali, a quelli che ci mettono la voce, a quelli che, a sentirli, potrebbero benissimo essere scambiati per messaggeri divini.
La profondità del timbro, la perfezione della dizione, la capacità di colorare le parole, sono tutte prerogative dei “parlatori” che ascoltiamo quotidianamente. Ma anche la particolarità della voce magari non accademicamente educata di qualche opinionista fisso può scatenare in noi uno spontaneo processo immaginativo.
Siamo quasi costretti a cercare di consegnare delle coordinate fisiche a quello che sentiamo. E quando, per caso, vediamo una foto, o un video, di quello speaker dalla voce disumana, torniamo sulla terra e smettiamo di credere negli angeli. Si fa una vera fatica ad associare quella voce tanto familiare a quel volto sconosciuto, a quel corpo un po' molliccio (si scherza!).
Ma alla grande illusione partecipano anche gli ascoltatori che telefonano in diretta nei dibattiti: con le loro idee, le loro cadenze, il loro modo di parlare, tanto comune nella realtà, quanto unico al telefono, contribuiscono ad accendere la miccia della fantasia.
La realtà è molto diversa da come la si costruisce nella propria testa, e la radio costruisce tanti mondi quanti sono gli ascoltatori in quel momento. Come il migliore dei prestigiatori, nasconde una parte di verità, quella già conosciamo, e ci affida il compito di dipingere a nostro piacimento ciò che lei non può mostrare. Noi completiamo l'opera riempiendo la tela dei nostri desideri. L'oggettività diventa soggettività, e, fino a quando sarà così, i nostri cari speaker saranno liberi di non andare in palestra e di non lavarsi: finché ci sarà un microfono per le loro voci, ci sarà sempre qualcuno pronto ad essere sedotto e ad immaginarli belli, puliti e profumati.
Articolo di Giuliano Antonini [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
Uno dei motivi per cui ci piace così tanto la radio è, senza dubbio, il fatto che stimoli la nostra immaginazione. Basti pensare alla grande curiosità che hanno sempre destato, nell'ascoltatore comune, gli studi radiofonici, oggi un po' meno misteriosi, ma di certo non sconsacrati, a causa dell'invasione delle telecamere anche al loro interno.
Le luci magari un po' soffuse, i microfoni, lo scambio di sguardi con chi sta dall'altra parte del vetro: tante proiezioni di un luogo magico lontano dal tempo e dallo spazio, quasi inesistente. Eppure la radio c'è, esiste, e insieme con lei esistono le voci che la fanno parlare, quelle degli attori principali dello spettacolo radiofonico: gli speaker. Chi non ha mai provato a immaginarsi la faccia di uno speaker?
Ultimamente forse le cose sono un po' cambiate, il percorso spesso è inverso, nel senso che microfoni e frequenze vengono affidate a qualcuno in virtù della sua faccia e della sua popolarità invece che del livello della sua retorica. Ma pensiamo agli speaker tradizionali, a quelli che ci mettono la voce, a quelli che, a sentirli, potrebbero benissimo essere scambiati per messaggeri divini.
La profondità del timbro, la perfezione della dizione, la capacità di colorare le parole, sono tutte prerogative dei “parlatori” che ascoltiamo quotidianamente. Ma anche la particolarità della voce magari non accademicamente educata di qualche opinionista fisso può scatenare in noi uno spontaneo processo immaginativo.
Siamo quasi costretti a cercare di consegnare delle coordinate fisiche a quello che sentiamo. E quando, per caso, vediamo una foto, o un video, di quello speaker dalla voce disumana, torniamo sulla terra e smettiamo di credere negli angeli. Si fa una vera fatica ad associare quella voce tanto familiare a quel volto sconosciuto, a quel corpo un po' molliccio (si scherza!).
Ma alla grande illusione partecipano anche gli ascoltatori che telefonano in diretta nei dibattiti: con le loro idee, le loro cadenze, il loro modo di parlare, tanto comune nella realtà, quanto unico al telefono, contribuiscono ad accendere la miccia della fantasia.
La realtà è molto diversa da come la si costruisce nella propria testa, e la radio costruisce tanti mondi quanti sono gli ascoltatori in quel momento. Come il migliore dei prestigiatori, nasconde una parte di verità, quella già conosciamo, e ci affida il compito di dipingere a nostro piacimento ciò che lei non può mostrare. Noi completiamo l'opera riempiendo la tela dei nostri desideri. L'oggettività diventa soggettività, e, fino a quando sarà così, i nostri cari speaker saranno liberi di non andare in palestra e di non lavarsi: finché ci sarà un microfono per le loro voci, ci sarà sempre qualcuno pronto ad essere sedotto e ad immaginarli belli, puliti e profumati.
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