Il 12 luglio del 1979, allo stadio Cominskey Park di Chicago, venne celebrato il funerale della disco music: migliaia di persone invasero lo stadio durante la partita e lanciarono in aria centinaia di album disco al grido di disco sucks, qualcosa tipo “la disco fa schifo”.
Nonostante l’odio e gli attacchi subiti da più fronti, la disco music è sopravvissuta, segnato un decennio e l’immaginario collettivo, ha regalato ai posteri hit immortali (il repertorio dei Bee Gees, le suite di Giorgio Moroder in coppia con Donna Summer, le canzoni perse tra svago e malinconia degli Abba) e ancora adesso è un punto di riferimento per le nuove generazioni, anche se ha assunto – attraverso la musica elettronica – contorni diversi.
Ma perché la disco si è spenta? Cosa ha significato questo in termini sociali ed estetici? Quanto è stata realmente grande la sua portata rivoluzionaria, al netto di lustrini, tutine ammiccanti e strobo? Su questo riflettono, e fanno riflettere, la coppia di artisti residenti a New York (patria della disco) Lovett/Codagnone.
Martedì 26 maggio è stata inaugurata alla Bad New Business di Milano (via M. Formentini 4/6) Death Disko: Last Dance, la prima di una serie di opere dedicate all’argomento: un misto di nostalgia, considerazione politico-sociale e amore viscerale per la musica. In quell’occasione si sono esibiti i Candidate, con una selezione di brani di Donna Summer riletti in chiave sperimentale, accompagnati da Michele Pauli dei Casino Royale.
Con la disco, ci suggeriscono John Lovett e Alessandro Codagnone, si è data finalmente voce alle minoranze, la libertà sessuale (soprattutto degli omosessuali) non è più stata un tabù, il dancefloor ha democratizzato la società tenendo insieme bianchi ricchi e afroamericani delle periferie, latini e italiani, uomini, donne, gay. La piaga dell’AIDS ha decretato la fine della festa ed è stata usata come pretesto dai bigotti e dagli intolleranti per attaccare la comunità omosessuale e lo stile di vita edonistico che essa incarnava.
Ma una città in bancarotta negli anni ’70 era di gran lunga più creativa ed eccitante di quanto non lo sia oggi, opulenta e annoiata. New York ha perso il suo smalto, ci dicono ancora, e la morte della disco è stato il primo passo verso una “normalizzazione” che porta all’appiattimento delle diversità, e quindi alla morte della creatività.
di BARBARA TOMMASINO
http://www.rollingstone.it/cultura/news-cultura/death-disko-last-dance-milano-lovett-codagnone/2015-06-06/