Può sembrare una domanda retorica chiedersi oggi “chi è il DJ?”, essendo il termine di largo uso; ma è proprio l’espansione commerciale che tale figura artistica sta avendo negli ultimi decenni a suggerire di delineare quali siano le caratteristiche necessarie per essere qualificato DJ.
L’area della nostra indagine è limitata, per scelta editoriale, alla figura del Club DJ e non del Radio DJ, essendo sostanzialmente la prima ad aver subito, nel tempo, una trasformazione, in terminidi rilevanza e notorietà, legata sia all’affermarsi di nuove forme di intrattenimento, sia all’utilizzo delle nuove tecnologie digitali realizzate per l’esecuzione in pubblico di musica registrata (per citarne alcuni: Traktor, Serato e Virtual dj).
Al momento della nascita di questa professione (che risale alla fine degli anni ‘60 negli Stati Uniti), al Club DJ non veniva riconosciuto un ruolo artistico rilevante, ma era considerato al pari delle altre figure lavorative alle dipendenze del locale: barman, sicurezza, tecnico impianto-luci, etc… All’inizio, quindi, non si dava conto di quelle che sarebbero state invece le qualità tecnico-artistiche richieste in futuro a un Club DJ, ma piuttosto si avvertiva la presenza di qualcuno che intrattenesse la clientela eseguendo musica registrata all’interno del club; tanto che è noto come, ai tempi, alcuni DJ interrompessero l’esecuzione di un disco dopo l’altro e altri suonassero i dischi forniti e comprati dal locale.
Solo con i primi anni ‘70 e la nascita della “disco music culture”, il DJ assume un ruolo principale all’interno della scena del club. L’affermarsi del mixing (come la tecnica di miscelare un brano musicale dietro l’altro attraverso l’utilizzo del mixer e due piatti) e delle dj pool (community di dj che scambiavano i “promo” forniti dalle major), attribuirono la qualifica di DJ a colui che si: “occupa di mixare musica trasmessa in un ambiente, selezionando (a seconda del suo stile, delle occasioni e dei gusti del pubblico) brani musicali di vario genere attraverso la tecnica del mixaggio, in modo da unire in sequenza più tracce provenienti da supporti musicali come il disco in vinile, il CD quindi files audio (come ad esempio quelli in formato mp3), in modo da ottenere un unico flusso musicale che risulti piacevole all’ascoltatore”, (definizione condivisa dalla voce “DJ” su wikipedia all’indirizzo:http://it.wikipedia.org/wiki/Disc_jockey). Ed è proprio il flusso musicale eseguito con continuità a rappresentare il prodotto della performance del DJ, denominato appunto “DJ Set” (sul quale il DJ vanta diritti esclusivi di utilizzazione).
Il DJ, che potremmo definire come Club DJ Pro, da figura a margine, si afferma sul mercato al pari di una pop star, grazie alla sua capacità di conoscere la reazione del pubblico alla musica dallo stesso suonata nel club e, quando dotato di grande carisma e di doti da buon p.r. oltre che di un efficiente management, continua ad avere richieste per serate pur non producendo musica oppure, in altri casi, affianca, con successo, alla sua attività di DJ anche quella di produzione discografica.
Negli ultimi anni ‘80, il fenomeno si afferma anche in Europa, dove i DJ cominciano a farsi conoscere per le proprie performance nei locali all’epoca più in voga, nonché proponendo nel mercato discografico le proprie produzioni musicali. In Italia, i nostri produttori nazionali si distinguono nel panorama house tanto da guadagnare un sound mark conosciuto con il nome di “Italo disco” prima e “Italo-house” poi.
Nei primi anni ‘90, i DJ americani sbarcano da oltreoceano e cominciano a essere conosciuti dal grande pubblico, ricevendo cachet che, vista l’alta richiesta, aumentano esponenzialmente, fino a raggiungere cifre da capogiro (come accade, ancora oggi, con nomi come Guetta e/o Avicii).
La professionalità del DJ andrebbe valutata a fronte dell’analisi di una serie di fattori caratterizzanti la performance: 1) la cultura musicale, ossia la conoscenza attraverso il pre-ascolto della musica che si vuole proporre (sia passata, sia presente, sia futura, ossia non ancora pubblicata), comprensiva, altresì, della tecnica nella catalogazione per la successiva esecuzione in pubblico; un lavoro duro, da eseguire con costanza giornaliera; 2) la scelta personale dei brani da eseguire e la loro sequenza unica per ogni DJ e per ogni situazione (c.d. timing); 3) la tecnica di esecuzione e la qualità del mixing (anche se oggi questo aspetto sta diventando difficile da giudicare in quanto le nuove tecnologie permettono a chiunque di mettere i brani a tempo); 4) l’abilità nell’alternare il suono a momenti di silenzio per creare “pathos”; 5) l’equalizzazione del suono e l’attività di campionamento e di editing live; 6) il rispetto delle battute ossia del tempo, dell’armonia e delle parole, nella sequenza dei brani proposti e, non da ultimo, anche una certa dote all’improvvisazione nel rispetto delle esigenze della serata e della pista, rispetto a quanto si era potuto preventivare (un professionista ben pagato e affermato non permette che la pista si svuoti, anche a costo di snaturare il proprio stile musicale, magari solo per qualche disco, per poi riprendere il suo stile una volta conquistato il pubblico).
Il Club DJ che racchiude in sé tutte queste caratteristiche può essere definito “Pro”, un artista che del djing ha fatto la sua professione.
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L’articolo completo è su DJ Mag Italia di ottobre.http://www.djmagitalia.com/chi-e-il-dj-tutto-quello-che-dice-la-legge-in-materia-di-dj/
A CURA DELL’AVV. DEBORAH DE ANGELIS